Auschiwitz, per trovare Dio ? - Il mio viaggio in Terrasanta

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Auschiwitz, per trovare Dio ?

Fra tutti i luoghi “santi” del mondo, chiese, santuari, basiliche, cattedrali, ….in questo luogo di morte può sembrare un paradosso pensare di trovare Dio. Piuttosto il suo contrario, la sua negazione o come, in molti pensano: il luogo dove Dio si è girato dall’altra parte.
In un viaggio di piacere, tra Bratislava e Cracovia, Auschwitz, l’attuale Oswieciem, era una tappa obbligata per rendere testimonianza di un passato e per chi, nato in quei tristi anni, rappresentava un tempo molto attuale, quasi “vissuto”.
Sapevamo che cosa andavamo a visitare ma l’umore era di chi naturalmente era in vacanza.

La giornata estiva era molto calda ed il tempo splendido “stonavano” con i ricordi di foto sbiadite in bianco e nero viste sui libri di storia.
Passato il centro cittadino della anonima cittadina e girando a destra appena passata la stazione costeggiamo un “binario” e ci troviamo dopo poche villette in un grande rettilineo in aperta campagna con al fondo l’immagine spettrale della ormai tristemente nota torre di guardia di Auschwitz Birkenau dove quel “binario” costeggiato pocanzi, entrava nel campo.
Era il “binario del non ritorno”.
Un groppo in gola a questo punto ti assale, le macchine, le persone ed il mondo che ti stava vicino ad un certo punto “spariscono” e di fronte ai chilometri di filo spinato , alle baracche ed a quel famoso binario, ricerchi solo il desiderio di stare solo e di isolarti nei tuoi pensieri.
Il campo di Auschwitz Birkenau è tragicamente nudo, integro nella sua realtà, fatta di sole baracche, reticolati, torri di guardia; niente fiori, un solo anonimo monumento con una scarna serie di lapidi nelle varie lingue.
Il binario, quel famoso binario che entra nel campo, gli scambi e l’efficiente disposizione delle “strutture” sono logisticamente perfette, diremmo oggi, solo che la “produzione” di questa “fabbrica” era quella di sterminare con mezzi scientifici ed industriali centinaia di migliaia di persone.

Possiamo parlare di semplice follia di un popolo, di molti o di una generazione ?
No, il calcolo preciso, la programmazione, la scientifica attuazione, la cieca obbedienza, non fanno parte della “follia” , è ragione e consapevolezza e questo lascia numerosi interrogativi sulla natura umana.
Da 1,5 ai 2,5 milioni di persone sono scese da quei binari e sono poi “sparite” dentro quelle rovine di ciò che rimane oggi delle camere a gas e dei forni crematori distrutti dai tedeschi all’abbandono del campo.

Una scaletta è rimasta che scende in basso verso le famose “docce”, ormai distrutte, ed erano uomini donne, vecchi, bambini, tanti bambini il cui solo “peccato” era quello di rappresentare un popolo disperso dalla storia, ma unito nelle tradizioni e nella fede.
E’ stata una colpa da genocidio avere maggiori capacità imprenditoriali ed economiche, essere musicisti, avvocati, commercianti, dottori, impiegati, oppure semplici contadini e non integrarsi sufficientemente, a volte, con l’ambiente circostante?
Le ragioni e le cause che hanno condotto una parte che si considera “umanità” ma che niente ha di umano, a realizzare un “piano” così atroce, sono e possono essere infinite e tutte discusse da tempo e sempre discutibili.
Davanti a quegli scalini che portano in basso fra le macerie delle camere a gas rimani allora attonito, smarrito chiedendoti come l'uomo e le sue nefande ideologie possano arrivare a tanto.
Non ragioni e non riesci più a pensare a niente. Il "peccato originale"inteso come la scelta della libertà dell'uomo nell'agire indipendentemente dalla volontà di Dio, in quel momento ti pesa come un macigno.

Quello che alla fine di tante parole rappresenta una certezza è quella “pozzanghera” a lato delle rovine dei forni crematori sapendo che in passato era un "laghetto" coperto ormai dalle ceneri di centinaia di migliaia di individui.
Una cordicella delimita l’area ed una semplice lapide indica il luogo.
Guardiamo in basso e vediamo i nostri piedi posati vicini a quella terra "scura" che vorremmo non toccare, evitare, non raggiungere, con le nostre scarpe.
Vorremmo librarci e sentirci degli "animali" di una razza diversa da quegli stessi uomini che hanno perpetrato in forma scientifica, costante ed organizzata, quel genocidio ma erano uomini come noi e come noi, erano anche quelle innumerevoli innocenti vittime e ci domandiamo il perché.

Ti pesano allora i tuoi anni sapendo che tu c'eri, esistevi, e pur nella culla eri spettatore innocente ed inconsapevole di tale "bestemmia" attuata da quella parte che viene considerata "umanità".
Auschwitz 1, il campo, successivamente visitato, ricavato da una precedente caserma polacca non ha baracche in legno ma solo ordinati casermoni a due piani in mattoni rossi. Fino a 1000 disgraziati abitavano ogni “blocco” e ce ne sono circa 30.
Evito per ragioni di spazio e di pietà, descrivere ogni dettaglio dell’orrore, ma quando entrando dentro una di queste caserme, molte delle quali trasformate a museo, rimango sconvolto.
Ai due lati di una lunghissima sala fra due pareti di vetro: scarpe, scarpe, centinaia di migliaia di scarpe da donna, da uomo, di bimbo, scarpe di persone, di uomini come noi che sono letteralmente sparite in “fumo”.
Devo appoggiarmi alla parete per l’emozione forte e tragica e l’unica cosa alla quale possa pensare in quel momento è pregare.
Una cosa è immaginare che in quei piazzali oggi vuoti sono passate e sono state uccise migliaia e migliaia di persone, una cosa è invece quantificare e prendere coscienza con un oggetto concreto la vita di tanti infelici.

In altre stanze, altri oggetti, a migliaia, centinaia di migliaia.
Ma la vita, i desideri, le speranze, gli affetti, di tante persone, è possibile che debbano sparire così; non avere più un nome, un ricordo all’infuori , e solo per una limitata parte di loro, di un paio di scarpe o una ciocca di capelli,  un paio di occhiali ?

I dubbi ti assalgono, e pensi se è stato giusto tutto questo ? Dio dov’era?…
Banalità che ti vengono subito tacitate da coloro che in quelle gavette arrugginite, in quelle scarpe ammuffite, ti parlano ancora.
Li senti dentro di te, sono vivi e non chiedono vendetta, ti parlano e ti infondono serenità; una lacrima stenti a trattenerla da solo nel silenzio ripensando a questi passi del Vangelo: 

"E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna"
"Non si vendono forse due passerotti per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà in terra senza il volere del padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, dunque; voi valete ben più di molti passeri." Matteo  10, 29-31.
Loro sono vivi e presenti nella gioia; di ogni razza, di ogni credo, di ogni condizione economica, di ogni età.

Gesù dov’era in quei giorni? Sicuramente nudo come altri, in coda, migliaia e migliaia di volte, a portare una parola di conforto in attesa di entrare anche lui dentro una camera a gas. Del resto: non era ebreo anche lui ?


Agosto 2007

Vieri 

Massimiliano Maria Kolbe
Massimiliano Maria Kolbe (Zduńska Wola, 8 gennaio 1894 – Auschwitz, 14 agosto 1941) è stato un sacerdote polacco, frate francescano conventuale, che si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, destinato al bunker della fame nel campo di concentramento di Auschwitz. È stato beatificato nel 1971 da papa Paolo VI ed è stato proclamato santo nel 1982 da papa Giovanni Paolo II
La morte ad Auschwitz
Il 28 maggio 1941 Kolbe giunse nel campo di concentramento di Auschwitz, dove venne immatricolato con il numero 16670 e addetto a lavori umilianti come il trasporto dei cadaveri. Venne più volte bastonato[senza fonte], ma non rinunciò a dimostrarsi solidale nei confronti dei compagni di prigionia[6]. Nonostante fosse vietato, Kolbe in segreto celebrò due volte una messa e continuò il suo impegno come sacerdote.
Alla fine del mese di luglio dello stesso anno venne trasferito al Blocco 14 e impiegato nei lavori di mietitura. La fuga di uno dei prigionieri causò una rappresaglia da parte dei nazisti, che selezionarono dieci persone della stessa baracca per farle morire nel cosiddetto bunker della fame.
Quando uno dei dieci condannati, Francesco Gajowniczek, scoppiò in lacrime dicendo di avere una famiglia a casa che lo aspettava, Kolbe uscì dalle file dei prigionieri e si offrì di morire al suo posto. In modo del tutto inaspettato, lo scambio venne concesso: i campi di concentramento erano infatti concepiti per spezzare ogni legame affettivo e i gesti di solidarietà non erano accolti con favore.
Kolbe venne quindi rinchiuso nel bunker del Blocco 13. Dopo due settimane di agonia senza acqua né cibo la maggioranza dei condannati era morta di stenti, ma quattro di loro, tra cui Kolbe, erano ancora vivi e continuavano a pregare e cantare inni a Maria. La calma professata dal sacerdote impressionò le SS addette alla guardia, per le quali assistere a questa agonia si rivelò scioccante. Kolbe e i suoi compagni vennero quindi uccisi il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell'Assunzione di Maria, con una iniezione di acido fenico. Il loro corpo venne cremato il giorno seguente, e le ceneri disperse.
All'ufficiale medico nazista che gli fece l'iniezione mortale nel braccio, Padre Kolbe disse: «Lei non ha capito nulla della vita...» e mentre l'ufficiale lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «...l'odio non serve a niente... Solo l'amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria».
Fu lo stesso tenente medico nazista che raccontò dopo alcuni anni questo fatto, che fu messo agli atti del processo canonico.
L'espressione "Solo l'amore crea" fu ricordata più volte da Paolo VI nel 1971 in occasione della beatificazione di Kolbe.
Francesco Gajowniczek riuscì a sopravvivere ad Auschwitz. Tornato a casa, trovò sua moglie viva, ma i suoi due figli erano rimasti uccisi durante un bombardamento russo. Morì nel 1995.
    
Dal Vangelo secondo Giovanni:

12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
18 Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. 19 Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia.

Varsavia Settembre 2011

450.000 ebrei del Ghertto di Varsavia furono deportati ad Aushwitz ed in altri campi di sterminio o uccisi sul posto.
Del ghetto, oggi, non rimane più niente, solo questo monumento alle vittime della lucida follia di un Anticristo  ubbidito ciecamente però da migliaia di altri assassini. Perdonare ma non dimenticare.

Nel 2010 da un programma TV apprendo che la Comunità di Sant'Egidio aveva organizzato nel settembre del 2009 un incontro delle religioni di tutto il mondo con una preghiera comune ad Aushwitz. Ho trovato le parole del rabbino particolarmente significative nè per dimenticare nè per chiedere vendetta.

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